Cambio nome, cambio vita (?)

10.02.2020

Avete mai desiderato di cambiare vita? Parlo di un cambiamento rivoluzionario, non del semplice "mi iscrivo in palestra da lunedì". Prendere un volo o un treno qualsiasi e andare via, lontano. Scegliere un nuovo nome, perché il nostro ci calza troppo stretto, una nuova identità e un nuovo colore di capelli. Si dice che dopo una profonda delusione noi donne, per prima cosa, ci rifugiamo dal parrucchiere e rinnoviamo il taglio, quasi a voler credere che basti accorciare la chioma per troncare le radici che ci legano a un passato ormai scomodo. Anni fa ho tagliato anch'io i capelli corti. In realtà non dovevo riprendermi da alcuna delusione; volevo soltanto sembrare un po' meno ragazzina per piacere a un mio collega di lavoro più grande per cui mi ero presa una cotta. Con la fatica che ci è voluta poi per farli ricrescere, non mi azzarderei di nuovo. Adesso, come massimo atto d'intraprendenza, faccio la frangetta ogni tanto. Però fuggire via, beh sì, quella è una cosa a cui penso.

E dico fuggire non a caso. Tutti noi stiamo scappando da qualcosa: dalle scartoffie accumulate sulla scrivania in ufficio che non abbiamo voglia di sbrigare, da un rapporto (che sia d'amicizia o d'amore) che non abbiamo la forza di chiudere o il coraggio di vivere, dalla felicità che crediamo di non meritare, dalle nostre paure, da noi stessi. E così ci convinciamo banalmente, persi in un sogno artificiale, che sia sufficiente modificare lo sfondo per risolvere il caos che ci portiamo dentro. Come se i nostri limiti possano magicamente apparire superabili solo perché guardati davanti alla Tour Eiffel invece che al Duomo di Milano (che, a dirla tutta, a me mette addosso sempre un'energia meravigliosa). Come se la nostra storia possa apparire diversa solo perché scritta in un'altra lingua.

Sono numerosi i motivi che ci spingono alla fuga. A volte scappiamo mossi dalla speranza che qualcuno ci venga a cercare e, prendendoci per mano, ci riporti a casa. Dopo averci dato uno di quegli abbracci che liberano la testa e riempiono il cuore. Scappiamo per sentirci dire che, nonostante le nostre odiose imperfezioni, vale la pena di rimanerci accanto. Forse, anche se non osiamo ammetterlo troppo ad alta voce, abbiamo bisogno di gesti grandi, un po' plateali, che ci trasmettano quella sicurezza che ci manca. Allora raccogliamo le nostre emozioni, le mettiamo in borsa sforzandoci di farcele stare dentro tutte e ci allontaniamo. In attesa. Scappiamo dalla routine, dalla monotonia. Dal caffellatte tiepido e senza zucchero che ci aspetta ogni mattina sempre nella solita tazza, puntuale alla stessa ora. Scappiamo perché, semplicemente, non sappiamo cos'altro fare.

Ma la verità, fastidiosa e pungente come la sabbia che s'infila nel costume mentre facciamo il bagno al mare, è una sola: il nostro Molliccio (per chi non avesse mai visto Harry Potter, creatura mutaforma che assume le sembianze di ciò che spaventa di più chi ha di fronte N.d.R. e comunque guardate Harry Potter suvvia)qualunque esso sia, verrà sempre con noi, ovunque andremo, se prima non lo affrontiamo di petto mettendolo k.o. con un sonoro calcio nelle palle. Riaffiorerà quando meno saremo pronti e ci ricorderà chi siamo davvero. Perché siamo andati via (metaforicamente o letteralmente, non importa). Lo troveremo insinuato nell'armadio, nascosto sotto al vestito che ci piace tanto, pronto a terrorizzarci e a farci cascare nella rete intricata della nostra memoria. Basterà una canzone passata casualmente alla radio, un profumo conosciuto, un luogo incrociato per sbaglio, una parola di troppo, un ricordo ritrovato senza cercarlo. In quell'istante potremo decidere di mettere il silenzioso e fuggire di nuovo oppure, al contrario, renderci conto che non si può scappare in eterno. Che tanto è inutile.

Certe ferite vanno sentite fino in fondo; bisogna lasciare che brucino sulla pelle e ci scaldino quando sentiamo freddo. Come un maglione di lana prezioso, un po' ingombrante, magari, ma autentico. Certe ferite vanno vissute perché fanno parte di noi e del nostro bagaglio. Serve anche lasciarsi consolare dal dolore, a volte, perché per quanto faccia schifo, ammettere che ci sia è il primo passo per accettarlo e imparare a conviverci. Ammettere che ci sia un buco è il primo modo per riempirlo. E poi bisogna proteggere le proprie cicatrici, che non sono segno di debolezza ma la dimostrazione che siamo essere umani. E come tali inciampiamo e cadiamo, spaccandoci i gomiti e le ginocchia, ma dopo riprendiamo a camminare. Con il mento alto e il cuore stretto in mano. 

Un abbraccio,

Alenka

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