Cosa vogliamo fare da grandi?

08.02.2019

Ciao amici!

Vi scrivo di venerdì sera, fra una partita di scala quaranta e l'altra. C'è stato un periodo, quando frequentavo l'università, in cui aspettavo solo questo giorno della settimana per andare a ballare e svagarmi come se non ci fosse un domani. Adesso aspetto il venerdì per buttarmi sul divano con la mia fedele copertina e liberare i pensieri accumulati durante la settimana. Oggi è stata una giornata particolarmente di merda. Al lavoro ho avuto una discussione con un mio collega su quale debba essere esattamente "il mio ruolo all'interno dell'ufficio". Secondo lui dovrei cominciare a vedere le cose più in "chiave tecnica" e questo, sinceramente, mi ha mandato in crisi. Nei post precedenti vi ho accennato qualcosa su quello che faccio ogni giorno per guadagnarmi da vivere (che donna in carriera, ragazzi!), senza però mai entrare troppo nel dettaglio. Da più di un anno e mezzo sono impiegata in un'azienda metalmeccanica e mi occupo di qualità. In realtà sono una specie di "tuttofare" a cui vengono affidate le mansioni più disparate: dalla certificazione dei prodotti, alla distribuzione del vestiario per i dipendenti. Che dire...nel complesso non mi dispiace anche se non è esattamente la professione che sognavo di fare da bambina, quando immaginavo come sarebbe stata la mia vita a trent'anni (ogni riferimento all'età è puramente masochistico). Dopo la mia laurea, il 24 febbraio di due anni, mi ero buttata subito alla ricerca, quasi disperata, di un lavoro. I punti fermi che mi portavano a rispondere agli annunci, inviando il mio cv, piuttosto che a scartarli, erano fondamentalmente tre: cercavo un lavoro d'ufficio, dove non fosse fondamentale un'ottima conoscenza dell'inglese (le lingue straniere sono sempre state la mia croce) e che mi avvicinasse al mio ex ragazzo in vista di quei bei progetti futuri tipo una-vita-insieme-in-una-casa-tutta-nostra-appena-avessimo-avuto-abbastanza-soldi-per-comprarla che poi sono stati la mia mia rovina, nonché la fonte di quei penosi sensi di colpa con cui ogni giorno cerco di convivere. Ma questo è un altro discorso.

Il mio post scuole superiori è stato abbastanza insolito; prima quasi due anni di Lettere moderne per inseguire quello che è stato, da sempre tranne in quel periodo (da qui la decisione sofferta d'interrompere gli studi), il mio sogno nel cassetto: lavorare nel mondo dell'editoria; poi tre anni spesi in una grande multinazionale in cui la mia utilità era paragonabile a quella di un ombrello in una giornata di sole; infine di nuovo l'università. Abbandonate le ambizioni letterarie, mi sono iscritta in un impeto di follia a Scienze dei servizi giuridici che sarebbe, in poche parole, Giurisprudenza per gli indecisi che non se la sentono di prendersi sulle spalle un impegno di almeno cinque anni e allora decidono di partire da una più umile triennale. Per me era più che altro l'occasione per prendere finalmente quella tanto ambita laurea che, essendo sempre andata bene a scuola, ne sentivo un po' la mancanza, e dimostrare a me stessa che potevo farcela a cominciare un percorso e a terminarlo. Poi il diritto era la mia seconda materia preferita, dopo la letteratura. Quando ero piccina piccina mi piaceva parlare tanto davanti alle persone adulte: tutti mi dicevano che facevo discorsi da "grande" (la me di tre anni era più sveglia della me di adesso) e che un giorno avrei dovuto studiare per diventare avvocato. Così, prima di scoprire la mia passione per la scrittura e dopo una breve parentesi in cui decisi che volevo fare la gelataia perché mio padre tutti i pomeriggi, dopo l'asilo, mi portava a prendere il gelato rigorosamente al cioccolato, o nocciola nei giorni sfigati in cui il primo gusto era finito, e quello per me era un momento felice, mi convinsi che sarei diventata un'avvocatessa che manda in galera i cattivi e aiuta i buoni. Tuttavia, nel momento in cui mi sono riscritta all'università, non pensavo seriamente che avrei voluto fare l'avvocato. Era più che altro la voglia di intraprendere un percorso di crescita personale che mi aveva spinta a fare quel passo.

I tre anni in cui ho ripreso a studiare sono stati belli, i più belli della mia vita. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, ma con maggiore consapevolezza e forza di volontà nel raggiungere il mio obiettivo. Al primo esame, il tanto temuto scritto di Diritto Privato, venni bocciata per un punto. Ricordo perfettamente quel pomeriggio: tornata a casa piansi come una disperata, senza alcun ritegno, pensando di aver fatto l'ennesima cazzata. Ma poi il giorno dopo, passato lo sconforto, mi rimboccai le maniche e da lì filò tutto più o meno liscio. Finire l'università è stato come un piccolo trauma. Di colpo, mi sono trovata ad avere di nuovo la mia età con tutte le ansie annesse di fare quelle cose che i miei coetanei avevano già fatto da tempo: trovare un lavoro, avere stabilità e indipendenza, e poi...poi tutto il resto. Dopo diversi colloqui andati male e diverse delusioni, mi chiamarono per dirmi che avrei cominciato uno stage di sei mesi nel posto dove lavoro tutt'oggi. Incredibilmente, ne fui felice ma non così tanto come avrei immaginato. Quella chiamata è stata il primo momento in cui ho capito davvero che stavo crescendo. Il momento in cui tutto è cambiato, anche quello che non avrei mai voluto cambiasse.

E quindi, per riprendere il filo del discorso - divago troppo, lo so -, da un anno e mezzo lavoro in questa azienda metalmeccanica, facendo un lavoro che mai avrei immaginato, che molte volte mi chiedo se sia davvero nelle mie corde, se potrei fare questo per tutta la vita. Oggi il mio capo - che non è solo un capo ma una delle persone migliori che abbia mai incontrato, quasi un padre se si può definire così qualcuno con cui si ha un rapporto lavorativo - tentando di riportare l'ordine in ufficio mi ha fatto una domanda che mi ha c'entrata in pieno: "Ti parlo non da responsabile, ma come se tu fossi mia figlia. Tu da grande cosa vuoi fare?". In quel momento è come se mi fosse caduto il mondo addosso, per la seconda volta a distanza di pochi mesi. Io cosa voglio fare da grande? Boh. Non lo sapevo prima e tanto meno lo so adesso, dopo che quelle poche certezze che avevo ed ero convinta non mi avrebbero mai abbandonata, mi sono venute meno facendomi mancare l'aria. Oggi mi è mancata l'aria, di nuovo.

Voi lo sapete che cosa volete fare? Per me è già abbastanza difficile decidere quale tipo di biscotti comprare al supermercato, o pianificare ogni volta le uscite da fare durante il weekend...figuriamoci capire questo. Voglio fare troppe cose, forse, che alla fine è un po' come non voler fare niente. Vorrei essere felice, questo sì. Che poi ho capito che più ci provo e più sbaglio. Più tento di rendere la mia vita vicina al (mio) ideale di perfezione, più mi allontano dalla felicità. Più cerco di tenere tutto sotto controllo, più le cose mi sfuggono dalle mani.

Quindi, no, io a quella domanda oggi come oggi non saprei cosa rispondere. So quello che avrei potuto dire da bambina se qualcuno me l'avesse chiesto ma, adesso che grande lo sono, mi accorgo di aver perso parecchia roba per strada. Quella roba, in realtà, erano i miei sogni.

Mi rendo conto che questo post non sia molto positivo - non che gli altri facciano venire voglia di fare la hola nudi al centro del salotto di casa - ma avevo necessità di sfogarmi e ho scelto lo strumento che mi aiuta sempre a farlo nel modo migliore. Ora posso andare a dormire un po' più leggera. p.s. Vi lascio con questo quesito, nel caso anche voi vogliate rifletterci un po' su.

E comunque, se nemmeno voi lo sapete, vi riporto una citazione tratta dal monologo del film "Big Kahuna" (vi allegherei il video completo ma sono troppo impedita, quindi se siete interessati cercate su Google), giusto per sentirci tutti un pochino meglio:

"Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno."

Vi abbraccio forte,

Alenka

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